DI TUTTO UN PO'
blog in continua evoluzione loft di testi, idee e progetti e .... di Belva64
In pratica questo è il solaio.

lunedì 30 giugno 2008

irene grandi - prima di partire per un lungo viaggio

Prima di pretendere qualcosa prova a pensare quello che dai tu....

Invidia è stato elaborato su testi di Bertrand Russel, è stato in alcuni punti rimodernato da me visto che l'autore suddetto è un pacifista di inizio secolo scorso, sicuramente con una bibliografia assai interessante dal punto di vista psicologico, sociale e umanitario. di prossima pubblicazione testi in elaborazione dell'stesso autore ed altri Ciao a tutti Belva64
INVIDIA


Una delle principali cause dell'infelicità personale e sociale dell'uomo moderno.

Dopo l'ansietà, una delle più forti cause d'infelicità è probabilmente l'invidia. L'invidia è, direi, una delle passioni umane più radicate e universali. La si osserva chiaramente nei bambini al di sopra di un anno di età, e deve essere trattata con il più tenero rispetto da ogni educatore. La più lieve parvenza di una diversità di trattamento a favore di un altro bambino viene subito notata e provoca risentimento. Una giustizia distributiva rigida, assoluta ed invariabile, deve essere osservata da chiunque debba occuparsi di bambini. Ma i bambini sono soltanto di poco più aperti degli adulti nelle loro manifestazioni d'invidia. Questa emozione è prevalente negli adulti quanto nei bambini. Prendiamo ad esempio le donne di servizio; ricordo che quando una delle nostre domestiche, una donna sposata, rimase incinta, e noi dicemmo che non doveva più trasportare oggetti pesanti, il risultato immediato fu che nessuna delle altre volle più trasportare pesi, e qualunque cosa di questo genere ci fosse da fare, toccò a noi di farla. L'invidia è la base della democrazia. Eraclito asserisce che i cittadini di Efeso avrebbero dovuto essere impiccati tutti perché dicevano: "Nessuno deve primeggiare tra noi". Il movimento democratico negli stati greci deve essere stato ispirato quasi interamente da questa passione. E lo stesso vale per la democrazia moderna. Vi è, è vero, una teoria idealistica secondo la quale la democrazia è la migliore forma di governo. E credo io pure che questa teoria sia vera. ma non vi è alcun dipartimento della politica pratica in cui le teorie idealistiche siano abbastanza forti per provocare grandi cambiamenti; quando un grande cambiamento si verifica, le teorie che lo giustificano sono sempre un travestimento della passione. E la passione che ha impresso una forza propulsiva alle teorie democratiche è indubbiamente la passione dell'invidia.
Leggete la memorie di Madame Roland, che è spesso presentata come una nobile animata dall'amore per il popolo. troverete che ciò che la resa una democratica tanto accesa fu il fatto di essere stata introdotta dalla scala di servizio, in occasione di una sua visita ad un castello aristocratico.
Di tutte le caratteristiche della normale natura umana l'invidia è la più deprecabile; non soltanto la persona invidiosa desidera far del male e mette in atto il suo desiderio, se può farlo impunemente, ma l'invidia rende infelice anche lei. Invece di trovare piacere in ciò che ha, soffre per quello che gli altri hanno. Se può, priva gli altri dei loro vantaggi, il che, per l'invidioso, è desiderabile quanto l'assicurarsi gli stessi vantaggi. Se si lascia libero corso a questa passione, essa diventa fatale per tutto ciò che eccelle, e persino per il più utile esercizio di una abilità eccezionale. Perché un medico deve recarsi dai suoi pazienti in automobile, mentre l'operaio deve andare a piedi al lavoro? Perché a uno sperimentatore scientifico deve essere concesso di svolgere le sue ricerche in un locale riscaldato, mentre gli altri devono esporsi all'inclemenza degli elementi? Perché un uomo che possiede qualche raro talento di notevole importanza per il mondo deve essere sottratto all'obbligo del lavoro quotidiano? A siffatte domande l'invidia non trova risposta. Per fortuna, però, vi è nella natura umana una passione compensatrice, cioè quella dell'ammirazione. Chiunque desideri accrescere la felicità deve desiderare soprattutto di veder crescere l'ammirazione e diminuire l'invidia.
Quale cura esiste per l'invidia? Per i santi il rimedio sta nel altruismo, sebbene anche tra i santi non sia affatto impossibile l'invidia reciproca. dubito che Simeone lo stilita sarebbe stato molto soddisfatto se avesse saputo che un altro santo era rimasto più a lungo di lui su di un pilastro ancora più stretto. Ma, lasciando da parte i santi, l'unico rimedio contro l'invidia per gli uomini e le donne comuni è la felicità, e il difficile sta nel fatto che l'invidia è in se stessa un terribile ostacolo alla felicità. Io credo che l'invidia sia in gran parte causata da infelicità sofferte nel infanzia. Il bambino che vede il fratello o la sorella preferiti a lui, acquista la tendenza all'invidia, e quando esce nel mondo si aspetta di essere vittima di ingiustizie, le nota subito se si verificano, e l'immagina se non si verificano. Un uomo simile è inevitabilmente infelice e diventa un fastidio per gli amici, che non possono sempre essere cosi avveduti da evitare immaginarie mancanze di riguardo. Avendo cominciato col credere di non piacere a nessuno, con il suo modo di fare egli finisce col rendere giustificata la sua convinzione. Un'altra disgrazia della fanciullezza che ha lo stesso risultato, è di avere dei genitori poco sensibili ai legami familiari. Se la possibilità di confronto non gli è offerta in casa dalla presenza d'un fratello o di una sorella ingiustificatamente preferiti, un bambino ha sempre occasione di accorgersi che nelle altre famiglie i bambini sono più amati dai loro genitori di quanto egli non lo sia dai suoi. Ciò lo spinge ad odiare gli altri bambini e i suoi genitori e, crescendo, egli si sentirà un Ismaele. Vi sono delle felicità alle quali ognuno ha diritto, e quando un bambino ne viene privato ne consegue quasi inevitabilmente l'inasprimento del carattere, quand'anche non più gravi storture.

Ma l'uomo invidioso obietterà: "A che serve dirmi che il rimedio contro l'invidia è la felicità? Non posso trovare felicità fin tanto che provo invidia, e voi mi dite che non posso smettere di essere invidioso fino a quando non avrò trovato la felicità" Ma la vita reale non è mai cosi logica. Il solo fatto di rendersi conto delle cause che suscitano in noi l'invidia basta a far fare un lungo passo avanti nella cura di tale passione. L'abitudine di porsi sempre in termini di paragone è fatale. Quando ci capita una cosa piacevole, bisogna gustarla appieno, senza fermarsi a pensare che non è poi cosi piacevole come qualche altra cosa che può capitare a qualcun altro. "Si", dice l'uomo invidioso, "è una giornata di sole, ed è primavera, e gli uccelli cantano e gli alberi sono tutti in fiore, ma mi dicono che la primavera in Sicilia è cento volte più bella, che gli uccelli cantano assai più dolcemente nei boschetti d'Elicona, e che le rose da Saron hanno colori molto più teneri di quelle del mio giardino". E mentre si lascia cogliere da tali pensieri, il sole si offusca, il canto degli uccelli diventa un pigolio senza significato e i fiori non sembrano degni nemmeno di uno sguardo. Nè egli si comporta diversamente verso tutte le altre gioie della vita. "Si", dirà tra sè, "la donna del mio cuore è bella, mi ama ed io l'amo, ma quanto più affascinante deve essere stata la regina di Saba! Ah se solo avessi avuto le occasioni di Salomone!". Siffatti paragoni sono tutti sciocchi e senza senso; e che la causa del malcontento sia la regina di Saba o il nostro vicino di casa, essa è pur sempre ugualmente futile. L'uomo saggio, invece, non smette di aver caro ciò che possiede perchè qualcun altro possiede quache altra cosa. L'invidia, in effetti è una delle forme di quel vizio, in parte morale, in parte intellettuale, che consiste nel non vedere mai le cose in se stesse, ma soltanto in rapporto ad altre.
Io guadagno, diciamo, uno stipendio sufficiente per i miei bisogni. Dovrei essere contento, ma vengo a sapere che un'altra persona ch'io non reputo in alcun modo superiore a me guadagna uno stipendio che è il doppio del mio. Immediatamente, se sono di carattere invidioso, la soddisfazione che dovrei provare in ciò che ho si attenua, e io comincio ad essere divorato da un senso d'ingiustizia. Il rimedio adatto per questo stato di cose è la disciplina mentale, l'abitudine a non abbandonarsi a pensieri inutili. Dopo tutto, che cosa è più invidiabile della felicità? E se io riesco a guarire dall'invidia, posso trovare la felicità e diventare invidiabile. L'uomo che ha uno stipendio il doppio del mio è indubbiamente torturato dal pensiero che qualcun altro, a sua volta guadagna il doppio di lui, e cosi via.
Se desiderate la gloria, potete invidiare Napoleone. Ma Napoleone invidiava Cesare, Cesare invidiava Alessandro, e Alessandro, oso dire, invidiava Ercole, che non è mai esistito. Non si può, quindi, liberarsi dall'invidia solo mediante il successo, poichè vi sarà sempre nella storia o nella leggenda, qualche persona che ha avuto maggiore fortuna di noi. Ci si può liberare dall'invidia gustando le gioie che s'incontrano sul proprio cammino, svolgendo il lavoro che si deve svolgere, ed evitando di fare confronti con coloro che reputiamo, erroneamente, molto più fortunati di noi.
Un'inutile modestia è molto simile all'invidia. La modestia è considerata una virtù, ma io, per parte mia, dubito che,nelle sue espressioni estreme, essa meriti di essere considerata tale. La gente modesta ha molto bisogno di essere rassicurata, e spesso non osa affrontare dei compiti che sarebbe perfettamente in grado di assumere. La gente modesta crede di essere messa in ombra da coloro che abitualmente frequenta. E' quindi particolarmente propensa all'invidia, e, attraverso l'invidia, all'infelicità e al malanimo. Per parte mia, credo che non si siano presi abbastanza in considerazione i vantaggi che potrebbero derivare ai ragazzi da un'educazione intesa ad inculcare in loro la sicurezza della propria personalità. Non credo, che un pavone invidi la codo di un altro pavone, poichè ogni pavone è persuaso di avere la coda più bella del mondo. La conseguenza di ciò è che i pavoni sono uccelli pacifici.
Immaginate quanto sarebbe infelice la vita di un pavone se gli avessero insegnato che non si deve avere una buona opinione di se stessi. Ogni qual volta gli capitasse di veder un altro pavone fare la ruota, penserebbe tra sé: "Non devo immaginare che la mia coda sia più bella di quella, perché sarei un presuntuoso, ma come vorrei che lo fosse! Quell' odioso uccello è cosi convinto della sua bellezza! Devo strappargli qualche penna? Allora, forse, non avrei più da temere un confronto con lui". O forse gli tenderebbe un tranello per poterlo incolpare di malvagità e denunciarlo quindi come indegno all'assemblea degli anziani. Gradatamente stabilirebbe il principio che i pavoni dotati di una coda particolarmente bella sono quasi sempre malvagi e che nel regno dei pavoni un governante saggio darebbe la palma all'umile pavone dalla coda spennacchiata. Una volta riuscito a fare accettare questo principio, farebbe mettere a morte tutti gli uccelli più belli, di modo che una coda realmente magnifica finirebbe col diventare uno sbiadito ricordo del passato. A queste vittorie può giungere l'invidia quando si camuffa da moralità. Ma là dove ogni pavone si crede il più bello di tutti, non nasce il bisogno di questa repressione. Ogni pavone è certo di vincere il primo premio del concorso, e ognuno, poichè apprezza la sua pavonessa, crede di averlo vinto.
L'invidia, è naturalmente connessa alla competizione. Noi non invidiamo una fortuna quando è cosi ingente che è inutile sperare di poterla mai raggiungere. In un'epoca in cui la gerrchia sociale è fissa, le classi inferiori non invidiano le classi superiori fintanto che la divisione tra ricchi e poveri è considerata volere di Dio. I mendicanti non invidiano i milionari, sebbene naturalmente invidino altri mendicanti più fortunati di loro. L'instabilità dell'ordine sociale nel mondo moderno e le dottrine egualitarie della democrazia e del socialismo hanno enormemente esteso il campo dell'invidia. Per il momento questo è un male, ma un male che deve essere sopportato per arrivare a un più giusto sistema sociale. Quando si riflette razionalmente sulle ineguaglianze, ci si rende conto che sono ingiuste, a meno che non si basino su una superiorità di merito. E non appena sono state giudicate ingiuste, non vi è altro rimedio contro l'invidia che ne consegue all'infuori dell'eliminazione dell'ingiustizia. La nostra è quindi un epoca in cui l'invidia occupa un posto singolarmente importante. Il povero invidia il ricco, le nazioni più povere invidiano le ricche, le donne virtuose invidiano quelle che, sebbene lontano dalle virtù, restano impunite. Mentre è vero che l'invidia è la principale forza motrice che spinge all'ingiustizia tra classi diverse, nazioni diverse e sessi diversi, è al tempo stesso vero che la specie di giustizia derivante dall'invidia ha molte probabilità di essere della peggiore specie, e cioè una giustizia che consiste nel diminuire i privilegi del fortunato, piuttosto che nell'accrescere quelli dello sfortunato. Una passione rovinosa per la vita privata è rovinosa anche per la vita pubblica. Non bisogna aspettarsi che da una cosa cosi cattiva quale è l'invidia possano nascere buoni risultati. Coloro, quindi, che per ragioni idealistiche auspicano radicali cambiamenti nel nostro sistema sociale, e una maggiore giustizia sociale, devono sperare che non l'invidia, bensi altre forze siano gli strumenti operanti di tale evoluzione.
Tutte le cose cattive sono collegate tra di loro, e una qualunque di esse può causarne un'altra; la fatica, in special modo, è molto spesso causa d'invidia. Quando un uomo si sente incapace di compiere il suo lavoro, è preso da un generico malcontento che con grandissima facilità può assumere la forma dell'invidia verso coloro che hanno da svolgere un lavoro meno impegnativo. Quindi uno dei modi per far diminuire l'invidia è di far diminuire la fatica. Ma la cosa di gran lunga più importante è assicurare una vita che soddisfi l'istinto. Molta invidia che sembra puramente professionale ha in realtà un origine sessuale. Un uomo che è marito e padre felice difficilmente invidia altri uomini per la loro ricchezza o i loro successi, fintanto che egli dispone di quanto occorre per allevare i propri figli nel modo che reputa il migliore.
Le cose indispensabili alla felicità umana sono semplici, cosi semplici che le persone complicate non sanno costringersi a riconoscere quali sono le cose delle quali sentono realmente la mancanza.
Ai vecchi tempi la gente invidiava soltanto i propri vicini, perché poco o nulla sapeva degl'altri. Ora, attraverso l'istruzione, la stampa e i media, sa molte cose, in modo astratto, su varie classi dell'umanità, tra le quali però vi è realmente una esigua conoscenza diretta. Attraverso i mass media crede di sapere tutto sugl'altri, i ricchi, i poveri, i neri o gialli che siano, spesso proposti con critica nefasta. Tutto quest'odio è, se cosi si puo dire, alimentato dalla propaganda, ma questa è una spiegazione piuttosto superficiale. Perchè la propaganda è tanto più efficace quando incita all'odio, di quando tenta d'incitare a sentimenti d'amicizia? La ragione sta evidentemente nel fatto che il cuore umano,quale la civiltà moderna lo ha fatto, è più propenso all'odio che all'amicizia. Ed è propenso all'odio perché è insoddisfatto, perché nel profondo sente, forse anche inconsciamente, di aver perduto il senso della vita; sente che forse altri, ma non noi, si sono assicurati le belle cose che la natura offre per la gioia dell'uomo. La somma positiva dei piaceri nella vita di un uomo moderno è indubbiamente superiore a quella che si poteva avere in comunità oiù primitive, ma ancor più di tale somma è aumentata la consapevolezza di ciò che potrebbe essere. Recandovi in un giardino zoologico, potreste notare negli occhi delle scimmie, se non stanno facendo ginnastica o schiacciando noci, una intensa espressione di tristezza. Ci si può quindi immaginare che sentano di dover diventare uomini, ma sappiano di non potere scoprire il segreto per diventarlo. Sulla via dell'evoluzione le scimmie si sono smarrite; i loro cugini sono andati avanti e loro sono rimaste indietro. Qualche cosa che somiglia a quelllo sforzo e a quella angoscia sembra essere entrata nell'animo dell'uomo civile. Egli sa che vi è, quasi a portata di mano, qualche cosa di migliore di lui, ma non sa dove cercare questa cosa o come trovarla. Disperato, si accanisce contro il suo simile, che è altrettanto smarrito e altrettanto infelice. Noi siamo giunti a uno stadio dell'evoluzione che non è lo stadio definitivo. Dobbiamo sorpassarlo rapidamente, perché se cosi non facciamo, la maggior parte di noi perirà per via, e gli altri si smarriranno in una foresta di dubbi e paure. L'invidia, quindi, nociva com'è, e per terribili che siano i suoi effetti, non è malvagia in modo assoluto. In parte è l'espressione di un dolore eroico, il dolore di coloro che camminano alla cieca nella notte, diretti forse in un luogo di riposo migliore, forse soltanto verso la distruzione e la morte. Per trovare la giusta via, che lo conduca lontano da questa disperazione, l'uomo civile deve allargare il suo cuore come ha allargato la sua mente. Deve imparare a trascendere il suo io e, cosi facendo, ad acquistare la libertà dell'universo.